Scrivevo così più di un anno fa, in questo tragicamente profetico tweet.
Viviamo immersi in una realtà politica quotidiana che ho difficoltà a comprendere per la sua ormai assurda dinamica.
Assistiamo allo svilimento programmato, sistematico e scientifico dei principi educativi che ingenuamente consideravamo ormai sedimentati e consolidati.
Meritocrazia, formazione, esperienza e fatica spazzati via da una gestione della cosa pubblica completamente lontana da questi concetti se non addirittura opposta.
E non è un problema solo di mediocrità ma di percezione del valore della formazione e del merito come un modello inutile e perdente.
Essere ignoranti è valore, essere non competenti è vanto da esibire come curriculum di onestà e purezza, essere decisi e fermi sintomo di carattere nonostante le invidie suscitate.
La sicumera come posa con la consapevolezza dell’essere sul punto di sgretolare un sistema che prima li metteva ai margini in forza di criteri ritenuti ingiusti.
Ed ecco che un attore come Lino Banfi (anche bravo nel suo ruolo) può tranquillamente essere incaricato di un ruolo di rappresentanza internazionale e dichiarare con altrettanta serenità quello che è ormai con evidenza il mantra e il programma di cambiamento del governo:
“…in questi casi l’UNESCO, credo che le commissioni fino adesso si siano fatte con persone che sono plurilaureate in questo, in quell’altro, conoscono bene la geografia, conoscono bene i posti, i siti, gli ????, tutte cose che io non so, io voglio solo portare un sorriso dovunque. Anche nei posti più seri. “
[EDIT sostituisce “Basta con tutti questi plurilaureati nelle commissioni, io porterò un sorriso”, titolo comparso su Repubblica, Corriere della Sera.]
Potete approfondire sul titolo forzato dei maggiori quotidiani italiani su Butac.it
Demolire quindi un sistema (pur con mille difetti) meritocratico per uno basato su altri fattori dovuti all’esperienza, alla sensazione, all’utilità, convenienza, alla simpatia e temo anche al caso.
Soni state di fatto minate le basi attraverso le quali chi si appresta a decidere se formarsi o meno porterà inevitabilmente a cambiare idea, in una deprimente tendenza nella quale per emergere non conta più la fatica, lo studio, il merito.
Essere ignoranti ma orgogliosi e combattivi, saccenti e decisi conta più che avere una laurea.
E in un mondo nel quale la comunicazione è determinante per vendere bene un prodotto (anche uno scadente) le persone possono non solo avere un quarto d’ora di celebrità ma addirittura un duraturo mandato di potere.
Questo processo non nasce oggi, badiamo bene. È in atto da trent’anni ma oggi esce allo scoperto in tutta la sua brutale verità.
Essere ignoranti e furbi conviene, rende, sistema per la vita.
E l’esempio che emerge ci porterà a un modello sociale dal quale sarà terribilmente difficile uscirne fuori, sempre che gli italiani lo vogliano.
Perché altro aspetto da rilevare è che la maggior parte degli italiani avalla questa modalità, in una involuzione sociale che appunto non può essere nata e diventata adulta in così pochi anni.
Sono gli stessi italiani che alle poste non fanno la fila ma lasciano la bolletta all’amico direttore, che parcheggiano in doppia file perché tanto è solo un attimo, che iscrivono il figlio all’asilo falsificando la dichiarazione ISEE, che chiedono un favore per sistemare un parente, che se possono non si fanno fare lo scontrino per uno sconto, che se trovano cinquanta euro in terra li raccolgono in fretta per metterli in tasca senza farsi vedere, che a un concorso copiano, che hanno un secondo lavoro ma non lo dichiarano perché altrimenti finisce tutto in tasse e commercialista, che chiedono la malattia per fare i lavoretti in casa e potremmo continuare per parecchie ore.
Ecco, siamo in parte anche noi, quegli italiani.
E scandalizzarsi adesso, forse, non serve più.
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